Guglielmo Crotti


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Telegram su TikTok. Molto, molto interessante 🙂


Io ve l'avevo detto che arrivavano le Storie su Telegram 😌


Репост из: Du Rove's Channel
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Un momento d'atansion, s'il vous plaît

Stasera presenteremo il nuovo logo di AppElmo - Le App di Guglielmo, insieme alla nuova livrea dei contenuti social (che avremmo dovuto mostrarvi la settimana scorsa ma abbiamo preferito accorpare le due cose). Il logo è classico e innovativo al tempo stesso, e soprattutto vi introdurrà alla nuova denominazione della testata.

Ci vediamo tra qualche ora su @appelmoladg! 👋


Scherzi a parte, si tratta della nuova funzionalità "Canali Instagram" (ne abbiamo parlato qui) che, a quanto pare, è stata estesa al resto del mondo (prima era in closed beta, indi per cui la waitlist per il canale di Mark Zuckerberg). Ora come ora sembra una brutta copia dei canali Telegram - d'altronde, i DM di Instagram non sono mai stati questo capolavoro della messaggistica - vedrò se dedicarci un articolo


Lo spam su Instagram sta raggiungendo livelli mai visti prima 🧐


TWITTER È MORTO, EVVIVA TWITTER 🐦

Quando un social è in difficoltà, subito viene condannato a morte in contumacia, senza possibilità di appello. Ebbene, si può dire che le storie intorno alla sua morte sono fortemente esagerate. Certo, non rappresenta più la scelta principale per un giovane oggigiorno — mia sorella, 18 anni, mi lancia gli stessi sguardi che riserviamo alle statue impagliate dei neanderthaliani al museo di storia naturale quando le ricordo che lo uso ancora. Eppure, ogni report annuale lo vede in buona salute, con numeri che sia in termini di DAU e MAU che di guadagni sono lontani dal certificare un decadimento rapido e inarrestabile.

Ovviamente, sto parlando di Facebook.

Twitter, d'altra parte, non sta male: sta malissimo. Non è morto, perché conserva ancora solidi legami con il tessuto tecnologico e sociale di una certa élite, soprattutto statunitense; la sua nuova dirigenza tranquillizzerà (forse) i mercati, benché molti giustamente ritengano la Yaccarino un uomo di paglia, e che Musk rimarrà a tirare le fila.

Ma il suo stato di debolezza è visibile dalle alternative che stanno guadagnando terreno:
🔸 BlueSky, il social lanciato da Jack Dorsey (che così facendo riuscirebbe a ri-fondare Twitter)
🔹 Mastodon
🔸 l'alternativa-a-Twitter che Instagram sta sviluppando
🔹 Artifact

Il fatto che ci siano così tanti nuovi-Twitter in via di sviluppo significa che molte aziende ritengono che ci sia uno spazio lasciato vuoto da Twitter che vale gli investimenti necessari per creare un social network nuovo, simile ma diverso da quello precedente.

A me questa cosa piace tantissimo: finalmente esiste la speranza di vedere una piattaforma completamente marcia come Twitter rinascere, magari sotto altre forme e altri nomi. La sperimentazione è l'anima del mondo digitale, e ultimamente avevo visto una certa sedentarietà intellettuale intorno al formato video, che tutti hanno dato per definitivo. Se si riuscisse a restituire al formato testuale una certa dignità — che Twitter ha completamente eliminato — e innovatività, sarebbe davvero fantastico. Speriamo bene 🤞


BUG BOUNTY KILLER 🤠

Il Far West non è morto, ma si è semplicemente spostato sul web. Da anni tutte le principali aziende tecnologiche offrono infatti dei programmi di "bug bounty": chiunque riesca a identificare una falla nel sistema verrà ricompensato. Si va dai semplici bug di sistema alle vulnerabilità zero-day, le più gravi e pericolose.

Ovviamente, a seconda della gravità del bug varia anche l'entità della ricompensa: sia perché si vuole invogliare anche l'hacker meno moralista a vendere la scoperta all'azienda, e non su qualche piazza del dark web, sia perché si tratta comunque di un investimento, in un'epoca in cui un problema di sicurezza comporta sia un danno reputazionale che economico, a volte irreparabile.

Una bella idea, no? D'altronde, se Apple ha speso finora 20 milioni di dollari in "taglie" un motivo ci sarà.

Bene. Entriamo ora in una di quelle zone dove la tecnologia va a morire: la pubblica amministrazione.

Da un comunicato del Garante della Privacy — riportato da quello che è l'unico quotidiano di inchiesta tecnologica in Italia, DDay.it — risulta che la pubblica amministrazione abbia denunciato un cittadino italiano alla Polizia Postale.

Per quale motivo? Per "hackeraggio": praticamente, avrebbe fatto l'errore di segnalare alla SIAG (l'azienda che si occupa della gestione del sistema informatico in Alto Adige) la presenza di un bug capace di "bucare" il Fascicolo Sanitario Elettronico regionale. Questo nuovo Steve Wozniak (perché tale lo considera la PA locale) aveva scoperto che bastava modificare il codice fiscale presente nell'URL del proprio fascicolo sanitario per accedere ai dati degli FSE di altri cittadini. L'uovo di Colombo, praticamente, ma secondo la PA di Bolzano (cito) "si tratta quindi di un hackeraggio mirato di un sistema informatico che ha richiesto il possesso di conoscenze tecniche molto specifiche e per cui il (Sig. XY) è stato denunciato alle autorità competenti".

Immaginatevi dunque di pensare di assolvere al vostro dovere civico segnalando una vulnerabilità molto grave e di ricevere, in cambio, una denuncia. Seguendo ovviamente il classico modello di scarico di responsabilità che va tanto in certi ambienti lavorativi.

Una rondine non fa primavera ed è dunque ingiusto, forse, fare di tutta l'erba un fascio — e quindi mi asterrò da qualunque commento; sicuramente, casi di questo genere sarebbero evitabili se si adottasse il principio delle bug bounties. Ma chissà se si arriverà mai a quel punto.


Io che mi rendo conto di aver scelto per il sito nuovo (dopo due settimane di lunghe ricerche, decine di prove e una cartella da intasata di file d'installazione) l'esatto stesso font usato da tutte le riviste tecnologiche online


Hey Google, come si supera la crisi dei 28 anni?


WHATSAPP VS THE WORLD

Qualora ve lo stiate chiedendo: sì, l'immagine proviene da Facebook e- sì, uso ancora Facebook, molto più di quanto non faccia con qualsiasi altro social network (Telegram a parte, ovviamente).

La ragione è molto semplice: Facebook è ciò che tutti gli altri social non sono, ossia una perfetta commistione tra contenuti multimediali e testuali. Su Reddit si scrive troppo; Instagram è tropo sbilanciata sul lato video-fotografico (e penso che Meta abbia mantenuto di proposito la sezione commenti di Instagram così poco user-friendly per evitare che i social si facessero concorrenza tra loro). Twitter è una fogna e TikTok... beh, è TikTok.

Poi c'è WhatsApp. Un social network? Non proprio. WhatsApp non si accontenta di essere l'app di chat più usata al mondo: vuole diventare la prima super-app occidentale - un po' ciò che Telegram sta disperatamente cercando di essere, e che ha finora fallito a diventare.

I pilastri di questa trasformazione sono due:
- i pagamenti in-app, lanciati in Brasile in questi giorni;
- le newsletter, ancora in fase sperimentale.

Sono due approcci maturati in due contesti diversi, ma che vanno nella medesima direzione. I pagamenti servono a penetrare ulteriormente nel tessuto sociale delle economie emergenti, come Brasile ed India, dove WhatsApp è popolare quanto WeChat in Cina (c'è una puntata del podcast Land of the Giants a riguardo, che vi consiglio di recuperare). Le newsletter sono praticamente i canali Telegram, e sono invece indirizzati a un pubblico più trasversale, anche occidentale.

Telegram deve avere paura di WhatsApp? .
WhatsApp deve avere paura di Telegram? Eh.

Dal canto mio, spero che la concorrenza, da sempre l'anima del commercio, ci dia quella piattaforma di gestione dei canali che dovrebbe esistere già da anni. 🫠


La miglior rielaborazione della miglior battuta di sempre


🤨


Tutti: AGCM, ora perseguiterai SIAE perché i suoi interlocutori dispongano della stessa trasparenza che SIAE chiede a Meta?
AGCM:


META VS SIAE: ZUGZWANG

Meta vs SIAE come Hitler vs Stalin. Uno scontro dove, chiunque vinca, noi avremo perso. Questa è sostanzialmente la descrizione dell'evento in corso da parte del pubblico spettatore di una sfida di cui non si comprendono completamente gli interessi in gioco, ma sulla quale si catalizzano le antipatie e le insofferenze accumulate negli anni. Insofferenze contro i "cerchi magici" e i sistemi di potere; contro le corporazioni e i gruppi di interesse — tutti rappresentati da SIAE.

L'umile opinione di chi vi scrive è che l'Italia non sia mai stata un Paese granché liberale. Non ho dunque difficoltà a riconoscere, nell'intervento di oggi dell'AGCM, un desiderio da parte delle istituzioni di "proteggere" quel sistema di leve e poteri su cui si regge la realtà economica di questo Paese. L'AGCM, in altre parole, ha giocato uno zugzwang su Meta: una mossa che negli scacchi costringe l'avversario a muovere, pagando però un prezzo strategicamente molto alto — in questo caso, la riapertura delle trattative, e la fornitura dei dati.

SIAE parla di «armi pari» ed «equa remunerazione». Certo, quanto è bella la liberalizzazione delle informazioni – peccato che piaccia solo quando danneggia il concorrente. Vi faccio pochi esempi, coinvolgendo unicamente gli attori in gioco:
🔸 SIAE chiede la liberalizzazione dei dati sulle quote di mercato dei sindacati degli artisti, scelta rifiutata (o ignorata) da Soundreef;
🔹 Optima chiede la liberalizzazione dei dati sui compensi della quota privata, richiesta rifiutata da SIAE;
🔸 SIAE chiede la liberalizzazione dei dati sui compensi dei brani italiani, proposta rifiutata da Meta.
Mi pare evidente che SIAE sia ipocrita e utilizzi il concetto di “liberalizzazione” solamente quando le fa comodo, alla pari di un grimaldello contrattuale. Chiagni e fotti, direbbero.

Dobbiamo però porci una domanda: se leviamo dal piatto tutta quella patina di antipatia che riserviamo a SIAE, vero specchio del clientelismo italiano, cosa vediamo? Il nostro riflesso: perché noi stessi vogliamo che le trattative siano trasparenti, che il "sistema Italia" diventi più giusto e pulito. Se davvero crediamo in tutto questo — e se la legge lo prevede (la Direttiva Copyright) —, è giusto che Meta fornisca i dati di utilizzo delle musiche SIAE, e che si facciano le dovute considerazioni economiche. Meta non deve essere costretta ad accettare (sarebbe pazzesco altrimenti): una volta adempiuti gli obblighi di legge, Meta potrà continuare a rifiutare le musiche SIAE, e viceversa.

Qual è il succo della storia per noi umili utenti? Che dovremmo imparare a capire il valore dei dati. Le battaglie per la privacy e la protezione dei dati personali sono nate dalla consapevolezza del valore delle informazioni; se è vero che i dati personali vanno protetti, i dati di mercato vanno resi pubblici, per garantire lo sviluppo di un sistema economico più equo e trasparente. Tocca alle autorità mettere in pratica questa visione, ma sta a noi farci sentire.


​​SE CHATGPT CI SALVERÀ TUTTI 🙌

Ero indeciso se pubblicare questo aneddoto o no, per evitare di fare la parte del brontolone, ma la notizia del "blocco" (che blocco non è) di ChatGPT in Italia mi dà lo spunto per parlare di un fatto che mi è successo giorni fa.

Forse vi sarà capitato di ricevere una raccomandata - spero di no, visto che spesso sono solo cattive notizie. Qualora malauguratamente vi succedesse di non essere in casa o di non sentire il campanello al momento della consegna, vi toccherà di aver a che fare con l'IA di Poste Italiane per organizzare una seconda consegna.

Bisogna fare tre premesse, prima di proseguire:
🔸 l'IA delle Poste Italiane si chiama "Poste" (sì, "Poste") e il suo simbolo sembra una clipart di Word 2003 — si parte già malissimo;
🔹 l'IA in questo caso sta per Intelligenza Abominevole, perché tale è l'esperienza che l'utente medio subisce al suo contatto;
🔸 sul foglio della raccomandata viene specificato che bisogna chiamare un determinato numero per chiedere un nuovo invio — magari esiste anche un portale (che sarebbe molto più comodo e veloce) ma ho voluto aderire il più possibile alle istruzioni.

Detto questo:
> chiamo il numero
> mi risponde una voce registrata
> l'IA (non la chiamerò per nome perché altrimenti ci si affeziona alle cose, e io la odio con tutto il cuore) passa i primi cinque minuti della telefonata a ripetermi quello che c'è già scritto sul biglietto della raccomandata
> iniziamobene.jpeg
> finalmente mi chiede cosa voglio
> per procedere non bisogna premere un numero sulla tastiera come con tutti gli assistenti vocali, ma bisogna DIRE A VOCE quello che si vuole
> "un'IA vocale? O è Google Duplex, o è una schifezza"
> specifico che voglio un secondo ritiro
> l'IA non capisce e mi chiede di ripetere
> "OK, è una schifezza"
> una volta che mi sono fatto comprendere, mi RIPETE PER ALTRI CINQUE MINUTI le stesse cose che mi aveva detto all'inizio
> mi chiede di pronunciare a voce il numero di serie della raccomandata
> per evitare fraintendimenti li pronuncio il più chiaramente e lentamente possibili, come se stessi parlando a un marziano, impiegando dieci minuti circa
> "vuole un secondo ritiro?"
> io, che ormai comincio a essere un po' affaticato, rantolo un "Sì..."
> l'IA non capisce e mi chiede di ripetere
> "VOGLIO UN SECONDO RITIRO, STUPIDA BESTIA"
> l'IA non capisce e mi chiede di ripetere
> sto per impiccarmi con il cavo delle cuffie ma mi accorgo che non posso perché ormai è tutto wireless, nel frattempo miracolosamente l'IA capisce cosa voglio
> attesa...
> attesa...
> "Mi spiace ma non è possibile organizzare un secondo ritiro per la sua consegna, potrà ritirare la sua raccomandata all'ufficio postale X tra 3 giorni lavorativi"
> "Ma... SULL'ETICHETTA STA SCRITTO CHE POSSO RICHIEDERE UN SECONDO RITIRO!"
> "Grazie e arrivederci"

Durata totale della conversazione: 25 minuti (più o meno il tempo di lettura di questo post)

Il Garante fa benissimo a fare il suo lavoro, ma non sarà mai troppo tardi quando avremo sostituito qualunque cosa con un'IA basata su ChatGPT-4 e superiori.


BARD(A) A COME PARLI 🫢

Dovrei aspettare qualche ora per esprimermi a proposito, ma l'occasione è davvero troppo ghiotta. Oggi Google ha aperto la prima beta pubblica di Bard, la sua IA conversazionale. Nelle intenzioni dell'azienda, Bard dovrebbe sfidare e battere Chat-GPT ma soprattutto Bing, che al momento sta puntando tutta la sua attrattiva sull'integrazione con il chatbot, arrivato alla sua nuova evoluzione GPT-4 (ancora più intelligente e capace di prima).

Le borse sembrano aver preso bene la notizia - il titolo di Alphabet sta raggiungendo i massimi da mesi - ma vedremo cosa succederà quando arriveranno online le prime recensioni del chatbot.

Per ora, le uniche disponibili sono quelle condivise sui social. Ovviamente, tutto ciò che viene pubblicato sono gli svarioni del bot, in quanto i più memabili e capaci di suscitare engagement e condivisioni.

Al netto del fatto che stiamo parlando di una "beta", non sembra che nemmeno Google sia particolarmente convinta del suo chatbot. La strategia comunicativa adottata è abbastanza chiara: Bard viene definita "un esperimento" (e pure "early", quindi "iniziale", ma anche "prematuro"); in alcune immagini promozionali spiega che "i modelli di linguaggio possono fare errori" (eh già). Il crollo in borsa che seguì quella famosa falsa partenza è servito di lezione, evidentemente, e Google ora cammina con i piedi di piombo.

Quando arriverà in Italia, faremo le nostre valutazioni. Ma mi fa molto ridere che Bard, rispondendo a una domanda in merito, abbia definito quello di Google sulle pubblicità online un "monopolio", dicendosi addirittura "speranzoso" che la causa in corso venga vinta dal Dipartimento di Giustizia, e che il business delle pubblicità venga aperto alla concorrenza.

La prova che Bard è davvero sincero, o che c'è ancora molto da lavorare? Se infatti facciamo la stessa domanda a Bing, la risposta che riceviamo è molto più bipartisan, come in fondo dovrebbe essere.


Non sono un gran fan dei tweet lunghi, onestamente parlando. Per come il testo viene formattato sull'app di Twitter, diventa molto difficile leggere blogpost più lunghi dei canonici 280 caratteri. Dev'essere per questo che Twitter introdurrà presto la formattazione dei tweet, era inevitabile


Programmatore dell'app INPS che decide che A) non è necessario che il sistema invii un'email di conferma per ogni appuntamento preso B) il numero di prenotazione va seppellito nel punto più inaccessibile e meno intuitivo dell'applicazione:


SPOTIFY VS YOUTUBE 🎙

Non so se seguite l'argomento, ma nelle ultime settimane ha fatto "tremare i polsi" a molti podcaster la notizia che il più grande sponsor dei podcast, Spotify, stia ridimensionando il suo impegno nel settore.

Innanzitutto, va detto che quello che viviamo è un periodo di vacche magre: non c'è compagnia tecnologica che non abbia annunciato migliaia di licenziamenti e ristrutturazioni interne.

Tuttavia, ciò che fa più rumore in Spotify non è la quantità, ma la qualità dei suoi addii eccellenti: prima Dawn Ostroff, che è stato praticamente l'artefice della "svolta-podcast" di Spotify, colui che spese centinaia di milioni di dollari per portare sulla piattaforma di streaming esclusive come The Joe Rogan Experience e Batman: Un'autopsia - che per me rimane uno dei podcast più belli di sempre.

Tramite la newsletter The Hot Pod (a cui vi invito a iscrivervi, è gratuita) scopro che se ne andrà anche Max Cutler, fondatore di Paracast - studio di produzione di podcast true crime che Spotify comprò per 55 milioni di dollari nel 2019. Cutler era stato promosso Head of talk creator content and partnerships appena l'anno scorso.

A questi addii si aggiungono quelli di Alex Blumberg, fondatore di Gimlet Media (acquistata da Spotify nel 2019 per 230 milioni di dollari), che ha lasciato l'azienda lo scorso ottobre; Michael Mignano, co-fondatore di Anchor (la super-app di Spotify per la creazione di podcast), se ne è andato invece lo scorso giugno. Più tutta una serie di figure di mezzo che non sto a elencarvi.

Spotify si sta pentendo dei suoi investimenti? Non credo, anzi: quegli investimenti multimilionari sono stati funzionali a rendere i podcast un fenomeno trasversale e trans-generazionale. Credo sia normale che, dopo una corsa, ci si fermi a prendere un po' di fiato.

Piuttosto, credo che i problemi a cui Spotify vada preparandosi siano essenzialmente due:
- l'arrivo di YouTube nel mercato dei podcast: YouTube è come una locomotiva. Vecchia, lenta a partire, ma una volta sul tracciato travolge tutto e tutti. Se YouTube dovesse impegnarsi sul serio, diventerebbe un'alternativa a Spotify non indifferente - ma l'assenza della riproduzione in background è, per me, un fattore di resistenza.
- la non-profittabilità dei podcast: allo stato attuale, è difficile fare soldi coi podcast. Certo, puoi infilarci dentro le pubblicità, un po' alla vecchia, ma l'aria che nel settore si respira è che per rendere sostenibile questo format servirebbe uno strumento di monetizzazione che, allo stato attuale, non esiste. E alcuni cominciano a domandarsi se esisterà mai.

Non vi sembra dunque questo il momento migliore per aprire un podcast? :^)

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