Per non dimenticare


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Città avvolta nel dolore
Domani mattina a Marsala si celebreranno i funerali del maresciallo Silvio Mirarchi, morto dopo essere stato colpito nel corso di una sparatoria nelle campag...


Silvio Mirarchi

Sono passati due anni da quel tragico 31 Maggio 2016, allorquando il Maresciallo Capo Mirarchi, all’epoca vice Comandante della Stazione Carabinieri di Ciavolo, fu attinto da un colpo d’arma da fuoco esploso al suo indirizzo nel mentre era impegnato in un servizio antidroga nei pressi di una piantagione di marijuana.

Uno schieramento, composto dai Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani, renderà omaggio al collega caduto alla presenza del Comandante Interregionale Carabinieri “Culqualber” Generale Di Corpo d’Armata Luigi Robusto, del Comandante della Legione Carabinieri “Sicilia” Generale di Brigata Riccardo Galletta nonché del Comandante Provinciale di Trapani Colonnello Stefano Russo. Nella circostanza, nel cortile della caserma di via Mazara, sarà svelata una lapide commemorativa, che nell’occasione riceverà la solenne benedizione di sua Eccellenza il Vescovo di Mazara Mons. Domenico Mogavero, recante la motivazione con cui il Presidente della Repubblica, il 27 Aprile 2017, ha concesso al Maresciallo Mirarachi la Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria: ”Con eccezionale coraggio, ferma determinazione e cosciente sprezzo del pericolo, nel corso di un servizio notturno in area rurale, non esitava, insieme a un commilitone, a intervenire presso alcune serre adibite a coltivazione illecita di canapa indiana, venendo fatto segno a proditoria azione di fuoco da parte dei malfattori che, al fine di assicurarsi la fuga, lo ferivano mortalmente. Fulgido esempio di altissimo senso del dovere e di straordinarie virtù civiche, spinti fino all’estremo sacrificio




Padre Vincent Machozi

Fondatore di un sito d'informazione sulle violenze nella regione del Nord Kivu nella Repubblica democratica del Congo, Vincent Machozi, prete assunzionista di Bunyuka nel territorio di Beni, è stato ucciso domenica notte da un gruppo di uomini armati che hanno fatto irruzione nel convento dove risiedeva durante una riunione.

Amisi Kalonga, amministratore del territorio del Beni, ritiene che si sia trattato di un assassinio mirato: si voleva uccidere p. Machozi e Abdul Paluku Kalemire III, capo della comunità di Bashu, in missione nella zona e ospite dello stesso convento.

Secondo quanto ha dichiarato Kalonga «il gruppo armato, composto da circa una decina di uomini, ha manacciato i lavoratori della parrocchia e cercava il capo della collettività e il prete». Ha inoltre aggiunto che «la loro missione era evidentemente quella di uccidere» ma non sono riusciti completamente nella loro efferata missione. Fonti della sicurezza hanno riferito che dopo l'omicidio gli assassini sono fuggiti a bordo del veicolo della comunita di Bashu, abbandonandolo poi in un altro villaggio.

Pochi giorni prima della sua uccisione, p. Machozi aveva postato un articolo in cui si denunciavano le implicazioni dei presidenti della R.D.Congo e del Rwanda nei massacri di civili nella regione attorno a Beni che ormai dall'ottobre 2014 continuano a susseguirsi senza sosta.


https://youtu.be/pzc6jbXVM8k
Storia di Antonio, disabile ucciso dalla Camorra. 10 anni per restituirgli la verità
http://www.ilfattoquotidiano.it - di Fabio Capasso


Antonio Landieri

«Vedere il viso di Antonio ancora una volta accostato a quello dei killer della camorra riapre una ferita profonda. Il nome di mio cugino, vittima innocente delle faide criminali, è di nuovo sulle pagine dei giornali, la sua foto accanto a quella dei camorristi. È cosa assai difficile da accettare». Lo scrittore Rosario Esposito La Rossa presta le sue parole alla famiglia dei suoi zii e dei cugini. Una famiglia piegata, 13 anni fa, dall’omicidio di Antonio Landieri, 25 anni. Morto a Scampia perché la sua disabilità gli impedì di scappare quando i killer inviati dal boss Cesare Pagano fecero fuoco contro quelli che credevano i gestori della piazza di spaccio dei Sette Palazzi.
E invece erano sei amici che si trovavano lì per caso. Furono feriti in cinque, e fu ucciso Antonio, impossibilitato a scappare per via di una paralisi che, sin dall’infanzia, ne impediva i movimenti agili. 


https://youtu.be/3yRs2secZOY
NAPOLI RICORDA MAURIZIO ESTATE, VITTIMA INNOCENTE DELLA CRIMINALITA'
Per non dimenticare e per continuare a tenere accesi i riflettori sui delicati temi delle vittime innocenti della criminalità, il presidio di Libera di Chiai...


Maurizio Estate

E’ il 17 maggio del 1993, siamo in vico Vetriera a Chiaia a Napoli. Giuseppe Estate ha un auto-lavaggio, è venerdì e il lavoro procede come sempre. Un cliente ha appena terminato di farsi lavare la macchina, ma mentre sta andando via viene fermato da due malfattori a bordo di una moto che tentano di strappargli l’orologio. Giuseppe urla, richiama l’attenzione del figlio di 17 anni Maurizioche mette in fuga i malviventi, commettendo, però, un solo “errore”: vedere in faccia quello seduto sul sellino posteriore.
Lo sgarro è troppo grande da poter essere accettato, così i due scippatori si recano dal boss dei Quartieri Spagnoli, al quale avevano chiesto protezione, e sentenziano la meritata punizione. Dopo qualche ora all’auto-lavaggio si presenta così una Vespa con a bordo due killerche non lasciano scampo al giovane Maurizio che cade sotto i loro colpi d’arma da fuoco.




Alberto Vallefuoco

Il 20 luglio 1998, Alberto Vallefuoco, insieme a due amici e colleghi del pastificio Russo, Rosario Flaminio e Salvatore De Falco, viene assassinato davanti al bar Manila di Pomigliano D’Arco, durante l’ora di spacco.
I giovani stavano per entrare in macchina quando tre sicari a bordo di una ‘Lancia Y’ con in pugno revolver e kalashnikov ed il volto coperto da cappucci, spararono circa quaranta colpi uccidendo all’istante Alberto e Rosario. Salvatore, che tentò la fuga, fu raggiunto e finito dai killer.
Per questo triplice omicidio furono condannati all’ergastolo Modestino Cirella, Giovanni Musone, Pasquale Cirillo, Pasquale Pelliccia eCuono Piccolo come mandanti ed esecutori.
“Quel giorno la camorra sbagliò due volte…”
L’assessore alla Cultura Mario Imbimbo, rilasciò le seguenti dichiarazioni in merito: “Alberto Vallefuoco era prima di tutto un amico, che ricordo con affetto. Quel giorno la camorra sbagliò due volte. Sbagliò ad uccidere perché mai dovrebbe accadere e sbagliò ancor di più ad uccidere Alberto e i suoi amici, degli innocenti. Noi terremo viva la sua memoria. Lo dobbiamo non solo alla sua famiglia, ma innanzitutto alla nostra comunità, ai nostri ragazzi”.


https://youtu.be/v9HY6wX-9VM
Pistoia. Un albero per ricordare Hiso Telaray, vittima della mafia
Accade al giardino dell'associazione Un granello di senape


Hiso Telaray

La storia di Hiso è sempre stata cara a noi tutti di Libera, anche se ne sapevamo poco. Se non che l’8 settembre del 1999 questo ragazzo albanese muore a soli 22 anni, perché aveva avuto il coraggio di pronunciare un no, un no forte al sopruso e alla violenza dei caporali. Il suo nome diventa un simbolo e viene scelto nel 2004 per dare il nome al primo vino prodotto sui terreni confiscati alla mafia nel brindisino dalla Cooperativa Terre di Puglia - Libera Terra e dal presidio di Libera di Cerignola, a cui lo stesso è intitolato. Un nome che vuole comunicare un messaggio diverso, che vuole raccontare una scelta in una terra ancora afflitta da una forma di schiavitù moderna, che fa paura e che uccide.
Hyso parte dall’Albania con il sogno di studiare e diventare un geometra. Inizia a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata per mettere da parte i soldi. Ma Hyso, sempre gentile con tutti, sempre allegro, non sa che la vita dei braccianti agricoli pugliesi è scandita da regole ferree, che non si può sfuggire a un sistema di controllo quale il caporalato che impedisce di scegliere per sé. E così si rifiuta di cedere ai ricatti dei caporali e di consegnare parte dei suoi guadagni. Non si rende conto del pericolo, quasi sicuramente non sa che il suo gesto è un atto di rottura e che non può passare il messaggio che qualcuno si ribella a chi comanda. La sera del 5 settembre 1999, è in Italia da pochissimi mesi, viene avvisato che le persone a cui si è opposto stanno venendo a cercarlo nel casolare in cui vive, nelle campagne vicino a Borgo Incoronata. Qualcuno gli suggerisce di fuggire, ma lui non lo fa. Morirà pochi giorni dopo, l’8 settembre, dopo tre giorni di agonia perchè ferito a morte dai caporali.
Aveva due profondi occhi neri Hyso e un sorriso che si allargava su tutto il suo volto. Un ragazzo giovane e pieno di vita, ricco di sogni e progetti che qualcuno la sera del 5 settembre 1999 ha deciso di spezzare. Ed è grazie all’incontro con i suoi fratelli, venuti in Italia, in Puglia, nel 2016 che abbiamo per la prima volta conosciuto la sua storia di vita. Ora Hyso ha per noi anche un volto perché la sua famiglia ci ha donato una fotografia. Non è più “solo” Hyso Telharaj, 22 anni, vittima di mafia. Ma Hyso, 22 anni, giovane albanese che ha portato le sue speranze in Italia, in una terra fertile ma amara, ed è stato ucciso dai caporali perché si è ribellato alle dinamiche che tanti, troppi altri inermi braccianti, sono stati costretti ad accettare e continuano a farlo.


https://youtu.be/wP4hPTG6UTE
Eroi da ricordare - Ndragheta:Usura e pizzo a Lamezia Terne - Domenico Noviello - 9
13/01/2009 L'Associazione Antiracket Lamezia esprime il suo plauso alle forze dell'ordine per il buon esito delle recenti operazioni condotte a favore dell'i...


Domenico Noviello

Nel 2001 io e mio padre denunciammo alla Questura di Caserta un tentavo di estorsione per gli introiti della nostra autoscuola a Castel Volturno. Con la nostra scelta contribuimmo alla cattura e alla successiva condanna di cinque affiliati al feroce “clan dei casalesi”.

Qualche anno dopo, esattamente il 16 maggio del 2008, arrivò la spietata vendetta.

Mio padre Domenico Noviello fu barbaramente ucciso da un commando di dieci persone con ventidue colpi di pistola. La spietatezza del delinquenti doveva servire, oltre che a punire in maniera “spettacolare” con una scenografica dimostrazione di forza chi aveva osato dire "no" al clan, anche come eclatante atto dimostravo per terrorizzare tu gli altri commercianti, riaffermando il loro dominio sul territorio. Da quel tragico giorno vivo sotto scorta. 

Sono grato con tutto il cuore a coloro che mi tutelano, ringrazio veramente tutti, dalle autorità che lo hanno deciso, agli agenti che scrupolosamente mi accompagnano nella mia quotidianità. Ma devo prendere atto, con rammarico, che la mia vita è comunque priva di libertà. Vivo con la costante preoccupazione che possa sempre accadere qualcosa alla mia famiglia, ma mai e dico mai ho avuto il minimo ripensamento sulle mie scelte. Non mi è stato possibile continuare l'attività di famiglia, ma grazie all’interessamento della Federazione Antiracket FAI, ho avuto subito dallo Stato un sostegno per intraprendere una nuova attività.

La mia storia, a differenza di quella di mio padre, non è più una storia di solitudine. Nell'immediato la FAI, e nello specifico Tano Grasso, mi hanno aiutato a rialzarmi quando tutto mi sembrava finito. Mi sono stati vicino in tribunale, per il processo agli assassini di mio padre Domenico Noviello. A ogni udienza ero circondato dalla solidarietà e dall’affetto degli imprenditori aderenti alla FAI, dagli amici di “Libera” e del Comitato “don Peppe Diana" ed è per queste persone "speciali” che scrivo, per esprimere il mio profondo disagio, anzi paura, per questo clima ostile verso chi ha scelto di dedicare la propria vita alla lotta contro la camorra e le mafie.

Il 10 maggio scorso sono rimasto sconvolto dalla lettura di un articolo che gettava ombre sull’operato della FAI e sul suo Presidente Onorario Tano Grasso. Essendo in prima persona impegnato nel Direttivo dell’Associazione Antiracket di Castel Volturno, simbolo del riscatto di questo luogo, mi sento direttamente coinvolto nelle vicende della FAI.

Non sono così ingenuo da ignorare i possibili pericoli di infiltrazione nelle associazioni che si battono per la legalità ma ciò non significa che deve essere motivo per denigrare tutti e costringerci a una resa.

Conosco bene Tano Grasso e gli amici della FAI, sono legato a loro da vincoli di profonda amicizia, e dico in piena coscienza che senza la competenza e l’umanità di queste persone non mi sarei mai liberato dalle angosce che mi hanno a attanagliato per un lungo periodo. Non ho paura quindi diesprimere la mia solidarietà e la mia incondizionata fiducia sul loro operato. Ciò che più mi preoccupa, invece, è che si possa distruggere il tanto lavoro fatto in questi anni.

Massimiliano Noviello, figlio di Domenico Noviello, ucciso dal “clan dei casalesi” il 16 maggio 2008 a Castel Volturno per essersi rifiutato di pagare il pizzo.


https://youtu.be/6ZW1jtv1pg0
La Mafia spiegata da Nando dalla Chiesa
Tutto quello che c'è da sapere sulle organizzazioni mafiose, spiegato dal più grande esperto italiano, Nando dalla Chiesa: perché Cosa Nostra, 'Ndrangheta, C...


Prima del video di oggi, un po' diverso dal solito, una citazione che bene rappresenta lo scopo del canale, grazie a tutti voi che ci seguite e date fiducia.

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”

Giovanni Falcone


https://youtu.be/mKzgSK-mPgU
Marco Pittoni, un uomo giusto
In memoria del sottotenente Marco Pittoni che il 6 giugno 2008 ha evitato una carneficina pagando con la sua vita, a soli 33 anni.Colpito da due proiettili, ...


Marco Pittoni

Gli eroi sono quegli uomini che ogni giorno in silenzio, con orgoglio e passione per la missione di vita che hanno scelto, scrivono pagine esemplari. Marco Pittoni, era uno di questi, che nel silenzio del proprio lavoro, dimostrò esempio, coraggio, rispetto e valore della divisa che aveva sempre con fierezza indossato, quando per sventare una rapina in un gremito ufficio postale del centro di Pagani, dove prestava servizio in qualità di tenente dei carabinieri, venne ucciso per mano criminale. Accadeva dieci anni fa. Era il 6 giugno 2008: il piombo e il sangue seminano il terrore nella città di Pagani, sotto gli occhi di adulti e bambini del centralissimo ufficio postale della cittadina salernitana, cade per effetto di due pallottole sparate a bruciapelo, il tenente Pittoni. 



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