POST LUNGHISSIMO SUL LAVORISMO E LA PARITÀ DI GENERE (scusate)
In questi giorni ho seguito con interesse il dibattito sull'anti-lavorismo proposto dall' Osservatorio Italiano sul Neoliberalismo .
L'Osservatorio polemizza con la teoria anti-lavorista sostenendo che questa sia estranea alla tradizione socialista e che anzi così si contamini di elementi anarco-libertari.
Fulcro della critica è che il lavoro non sia del tutto eliminabile essendo parte della vita umana, che l'automazione non avrà mai il potenziale di eliminarlo e che comunque questa ha un limite ecologico ed energetico.
Proverò a mediare le tesi, partendo da lontano.
La stessa pagina distingue tra lavoro in contesto capitalista e non capitalista.
Levi Strauss in Amazzonia rimase sbalordito dal vedere che gli indios dedicavano poche ore a procurarsi il cibo necessario e che dedicavano il resto del tempo al canto, al gioco, agli scherzi e al pettegolezzo.
Certo, non posso e non voglio confrontare le esigenze di una società di pochi decine di membri ad impatto zero alla società-mondo, ma voglio far capire che lavoro non implica necessariamente sfruttamento (e Osservatorio lo afferma a onor del vero).
Va però chiarito cosa intendiamo per lavoro. La mia impressione è che Osservatorio lo usi per ogni attività che implichi impegno e tempo; su questo non concordo.
Lavare il pavimento della propria casa o fare la spesa non è paragonabile a rispondere a un telefono 8 ore, stare in miniera 12 o in ufficio 9.
Il primo è un compito gratuito che svolgo per me, non per arricchire qualcuno o far funzionare un ingranaggio burocratico, altrettanto anonimo e alienante.
Arriviamo al vulnus individualismo e morale socialista.
Certo, la morale socialista ha sempre incoraggiato il lavoro, ma faceva riferimento a persone (e società) che non poteva permettersi altro, pena essere schiacciati (vale anche al macro-livello, come l'URSS).
Completamente diverso il caso di società che devono tenere in piedi sistemi economici iper-finanziarizzati dove molti lavorano ormai fornendo parole, pensieri, creatività o semplicemente tempo e che sempre meno producono beni reali e sempre più producono servizi.
Anni fa, un'università cattolica invitò a Roma Jennifer Nedelsky - sociologa del lavoro canadese -, l'autrice sostiene che buona parte dei nostri costi sono in compiti di cura e che è arrivato il momento di imporre (in Occidente) un part time lavorativo (tra le 12 e le 30 ore a settimana) bilanciato da compiti di cura/assistenza non retribuiti (tra le 12/30 ore a settimana, in base all'orario di lavoro, sommandoli si deve arrivare a 30).
La "cura" è separata dal lavoro.
Certo, guardare un bambino di tre anni (lo dico per esperienza) è altrettanto alienante e può essere pesante; ma chi non guarderebbe il proprio figlio, accudirebbe un genitore anziano, non farebbe la spesa per un vicino o farebbe volontariato in un canile, qualche ora la settimana, in cambio di tempo libero e servizi pubblici (magari spartani, ma efficienti?).
Ora mentre è chiaro che non posso abolire la fatica - quella si parte della natura umana- posso abolire il lavoro (specie salariato) e la Sinistra dovrebbe almeno averlo come orizzonte (pur capendo la difficoltà).
Si arriva anche alla piacevolezza del lavoro e ai bisogni sociali legati a questo.
Un lavoro implica orari, regole, gerarchia (o clienti da soddisfare), per definizione non è piacevole, affermare "farei lo stesso il mio lavoro poche ore la settimana" è errato, perché quello non si chiama lavoro, quello si chiama hobby.
Io scrivo qui per hobby, se dovessi scrivere ogni giorno retribuito, con precisi standard, lo stress di sbagliare, non fare in tempo, un capo che mi guarda, sarebbe lavoro e lo odierei.
Certo, il lavoro ha funzioni sociali e di riempitivo, ma anche questo non deve confondere.
In questi giorni ho seguito con interesse il dibattito sull'anti-lavorismo proposto dall' Osservatorio Italiano sul Neoliberalismo .
L'Osservatorio polemizza con la teoria anti-lavorista sostenendo che questa sia estranea alla tradizione socialista e che anzi così si contamini di elementi anarco-libertari.
Fulcro della critica è che il lavoro non sia del tutto eliminabile essendo parte della vita umana, che l'automazione non avrà mai il potenziale di eliminarlo e che comunque questa ha un limite ecologico ed energetico.
Proverò a mediare le tesi, partendo da lontano.
La stessa pagina distingue tra lavoro in contesto capitalista e non capitalista.
Levi Strauss in Amazzonia rimase sbalordito dal vedere che gli indios dedicavano poche ore a procurarsi il cibo necessario e che dedicavano il resto del tempo al canto, al gioco, agli scherzi e al pettegolezzo.
Certo, non posso e non voglio confrontare le esigenze di una società di pochi decine di membri ad impatto zero alla società-mondo, ma voglio far capire che lavoro non implica necessariamente sfruttamento (e Osservatorio lo afferma a onor del vero).
Va però chiarito cosa intendiamo per lavoro. La mia impressione è che Osservatorio lo usi per ogni attività che implichi impegno e tempo; su questo non concordo.
Lavare il pavimento della propria casa o fare la spesa non è paragonabile a rispondere a un telefono 8 ore, stare in miniera 12 o in ufficio 9.
Il primo è un compito gratuito che svolgo per me, non per arricchire qualcuno o far funzionare un ingranaggio burocratico, altrettanto anonimo e alienante.
Arriviamo al vulnus individualismo e morale socialista.
Certo, la morale socialista ha sempre incoraggiato il lavoro, ma faceva riferimento a persone (e società) che non poteva permettersi altro, pena essere schiacciati (vale anche al macro-livello, come l'URSS).
Completamente diverso il caso di società che devono tenere in piedi sistemi economici iper-finanziarizzati dove molti lavorano ormai fornendo parole, pensieri, creatività o semplicemente tempo e che sempre meno producono beni reali e sempre più producono servizi.
Anni fa, un'università cattolica invitò a Roma Jennifer Nedelsky - sociologa del lavoro canadese -, l'autrice sostiene che buona parte dei nostri costi sono in compiti di cura e che è arrivato il momento di imporre (in Occidente) un part time lavorativo (tra le 12 e le 30 ore a settimana) bilanciato da compiti di cura/assistenza non retribuiti (tra le 12/30 ore a settimana, in base all'orario di lavoro, sommandoli si deve arrivare a 30).
La "cura" è separata dal lavoro.
Certo, guardare un bambino di tre anni (lo dico per esperienza) è altrettanto alienante e può essere pesante; ma chi non guarderebbe il proprio figlio, accudirebbe un genitore anziano, non farebbe la spesa per un vicino o farebbe volontariato in un canile, qualche ora la settimana, in cambio di tempo libero e servizi pubblici (magari spartani, ma efficienti?).
Ora mentre è chiaro che non posso abolire la fatica - quella si parte della natura umana- posso abolire il lavoro (specie salariato) e la Sinistra dovrebbe almeno averlo come orizzonte (pur capendo la difficoltà).
Si arriva anche alla piacevolezza del lavoro e ai bisogni sociali legati a questo.
Un lavoro implica orari, regole, gerarchia (o clienti da soddisfare), per definizione non è piacevole, affermare "farei lo stesso il mio lavoro poche ore la settimana" è errato, perché quello non si chiama lavoro, quello si chiama hobby.
Io scrivo qui per hobby, se dovessi scrivere ogni giorno retribuito, con precisi standard, lo stress di sbagliare, non fare in tempo, un capo che mi guarda, sarebbe lavoro e lo odierei.
Certo, il lavoro ha funzioni sociali e di riempitivo, ma anche questo non deve confondere.