Mosca era avvolta da una coltre di neve spessa, il cielo basso e grigio schiacciava la città in un silenzio irreale. In un vecchio ambulatorio di periferia, nascosto tra palazzi anonimi e marciapiedi ghiacciati, il dottor Sergej Ivanovič Baranov stava archiviando gli ultimi documenti della giornata. Il cartello sulla porta – Oculista. Visite su appuntamento – era sbiadito e coperto da un sottile strato di ghiaccio, ma ancora sufficiente a indicare la sua presenza a chi sapeva dove cercare.
Sergej, un uomo robusto dai capelli ormai completamente bianchi, era il ritratto della tranquillità. Per quasi vent'anni aveva esercitato lì, lontano dalle luci del centro di Mosca e, soprattutto, lontano da chiunque potesse collegarlo al suo passato. Un passato che, come i suoi occhi riflessi nello specchio, portava ancora con sé un’ombra indelebile.
Era quasi l’ora di chiudere quando la campanella sopra la porta tintinnò. Sergej sollevò lo sguardo dalla scrivania e vide un uomo entrare. Il nuovo arrivato indossava un pesante cappotto scuro, con la neve che si scioglieva lentamente sulle spalle e sui capelli. La sua pelle ambrata e i tratti marcati non erano comuni in quella parte di Mosca.
L’uomo si fermò davanti alla scrivania e abbassò la sciarpa che gli copriva il volto. I suoi occhi scuri fissarono Sergej con una fermezza che sapeva di riconoscimento, ma anche di esitazione.
“Dottor Baranov?” chiese, in un russo perfetto ma con un accento mediorientale.
Sergej si irrigidì appena. “Sì, sono io. Ha bisogno di una visita?”
L’uomo scosse lentamente la testa. "Non cerco un oculista qualunque. Voglio sapere se... se lei è davvero Bashar."
Le parole rimasero sospese nell’aria, pesanti come il silenzio che le seguì. Sergej non rispose subito. Si tolse gli occhiali e li pulì con calma, come per guadagnare qualche secondo. Poi sollevò lo sguardo verso l’uomo.
“Dipende,” disse infine, la sua voce bassa ma ferma. “Chi è che lo chiede?”
L’uomo avanzò di un passo. La neve sciolta gocciolava dal bordo dei suoi stivali sul pavimento. “Non importa chi sono,” rispose. “Ciò che conta è che il suo paese ha di nuovo bisogno di lei. Deve tornare, Assad”