Andrea Zhok


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Antropologia / Filosofia / Politica

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Segnalo per gli interessati la presentazione del libro
"Il senso dei valori. Fenomenologia, etica, politica" nella cornice del Festival Libri e Altre Cose 2024 - Pescara
Giovedì 7 novembre
ore 21:00
Sala Favetta – Museo delle Genti d’Abruzzo
Moderano Claudio Amicantonio e Annarita Di Paolo
https://www.pescarafestival.it/fla-2024-andrea-zhok/

P.S.: Mi scuso per il faccione da manifesto elettorale in primo piano. Scelte editoriali su cui non ho potere.
P.P.S.: Per ragioni misteriose la bio in coda è aggiornata al 2001. Un bel tuffo nel passato, anche se non molto informativa sul presente.


@46.1004991,13.2090338,16z/data=!4m6!3m5!1s0x477a35003ffb0379:0xee0a5f891de33943!8m2!3d46.100979!4d13.2139798!16s%2Fg%2F11ltgnhjs7?entry=ttu&g_ep=EgoyMDI0MTAyMS4xIKXMDSoASAFQAw%3D%3D' rel='nofollow'>https://www.google.it/maps/place/teatro+immersivo+maurencig/@46.1004991,13.2090338,16z/data=!4m6!3m5!1s0x477a35003ffb0379:0xee0a5f891de33943!8m2!3d46.100979!4d13.2139798!16s%2Fg%2F11ltgnhjs7?entry=ttu&g_ep=EgoyMDI0MTAyMS4xIKXMDSoASAFQAw%3D%3D

Il nome del teatro è Maurencig.


Segnalo per gli interessati:


Per gli interessati, venerdì a Gorizia, presso la Biblioteca Slovena D. Feigel discuteremo de:
IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA
[No, non è un festival di fantascienza.]

https://mimesisfestival.it/evento/il-futuro-della-democrazia-liberta-e-uguaglianza-andrea-zhok-edoardo-greblo-gabriele-giacomini-roberto-manzocco/


Anche questa notte Israele si è esibito nella sua specialità militare: il bombardamento di aree urbane inermi.
Anche questa notte sono crollati caseggiati e sono morte decine di civili che non avevano voluto o non avevano potuto lasciare Beirut (perché secondo la dottrina di ingaggio israeliana chiunque capiti nei pressi di un soggetto che si presume ostile ad Israle diviene automaticamente una salma in fieri.)

Visto che l'unico attacco iraniano di risposta ad Israele non risulta aver fatto nessuna vittima civile, giustamente sulle prime pagine fotocopia di Stampa, Corriere e Repubblica con riferimento al Medio Oriente compare soltanto la pensosa riflessione circa il consenso americano a bombardare i pozzi di petrolio iraniano ("Quando ci vuole, ci vuole...").

Israele pare aver fretta di ridurre anche Beirut come Gaza, dove l'ultimo bollettino dava l'80% delle abitazioni distrutte o inagibili, 1,9 milioni di persone sfollate, 41.788 morti e 96.794 feriti.

Ieri l'Iran ha rilasciato l'ennesimo comunicato in cui spiega molto chiaramente di non volere una guerra regionale e che in assenza di ulteriori provocazioni non ci saranno altri attacchi su suolo israeliano.
Ma nonostante la moderatezza della risposta iraniana è evidente che un rilancio da parte israeliana avverrà, perché la dirigenza israeliana una guerra regionale totale la vuole.
Al di là dei mugugni americani di facciata, Israele sa infatti che qualunque amministrazione USA gli farà comunque da Bancomat illimitato quanto ad armi e denari. E con cotanto guardiaspalle il progetto della Grande Israele è dietro l'angolo.

A meno che ad essere destabilizzato non sia proprio il Bancomat.

Insieme all'atteggiamento russo, è infatti questa - la capacità americana di fare da Bancomat senza limiti di spesa alle sue proxies - la più rilevante variabile in questo momento sullo scenario mediorientale (e anzi mondiale).

Così, ad esempio, accade che, in concomitanza con i gioviali bombardamenti quotidiani dell'IDF, negli USA la North Carolina stia subendo un'alluvione catastrofica, con l'amministrazione federale che si distingue per la sua latitanza. La FEMA (Federal Emergency Management Agency; la Protezione Civile americana) finora sembra mancare degli effettivi e delle risorse per intervenire in modo significativo a una settimana dall'alluvione. Come si direbbe nel Belpaese: "La coperta è corta e avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità, pezzenti."
Ma non sono poche le voci dall'interno degli USA che si chiedono com'è che nelle stesse ore in cui ad Israele veniva concesso l'ennesimo finanziamento di 8,7 miliardi di dollari a perdere a sostegno della sua campagna militare, la FEMA lamentasse la mancanza di risorse.

Nel momento in cui gli USA dovessero iniziare a percepire che la propria proiezione di impero mondiale costa più di quello che rende, un po' di canali di irrigazione di politici, giornali ed eserciti compiacenti in giro per il mondo potrebbero seccarsi.

E una nuova epoca busserebbe alla porta.


E' un brutto mondo quello in cui il rispetto internazionale passa soltanto dalla possibilità di estinguere l'altro, ma questo è quanto ci consegna questa epoca.
E francamente credo che questo ragionamento tra Russia e Iran sia già stato fatto.


La situazione sul piano strategico internazionale sembra oramai delinearsi in forma abbastanza esplicita.

Israele e gli USA si muovono all'unisono e sono disposti a tutto pur di perseguire il loro intento ultimo, che è l'eliminazione integrale dell'Iran come minaccia regionale.

Le cautele residue sono legate alle sole necessità di ridurre i possibili danni a città israeliane e alle basi americane nell'area.

La prima cosa che deve essere chiara è che l'Iran non ha nessuna possibilità di resistere a lungo ad un attacco israeliano sostenuto dagli USA, anche se l'attacco rimane convenzionale. Il principale limite di Israele sta nell'entità delle risorse (umane, militari, finanziarie) necessarie per una guerra totale, ma questa entità è amplificata indefinitamente dal canale di rifornimento a perdere degli USA. La dirigenza iraniana lo sa bene e dunque continua a muoversi in maniera da lasciare margini ad un raffreddamento del conflitto, effettuando sempre risposte misurate.

La seconda cosa chiara è che una sconfitta strategica dell'Iran, che lo sopprima come attore regionale, riconducendolo all'esistenza umbratile di un Iraq, non è solo una catastrofe per l'Iran, ma anche per Russia e Cina. L'Iran è in sempre maggior misura uno snodo fondamentale per i due maggiorenti dei BRICS come via di passaggio commerciale, come baluardo regionale e come produttore di materie prime (gas innanzitutto). Un Iran "irakizzato" sarebbe disastroso per le aspirazioni future di Cina e Russia, che di ciò hanno piena consapevolezza. Nell'ultimo mese ci sono stati colloqui al massimo livello tra dirigenti iraniani e cinesi da un lato (il ministro degli esteri Wang Yi) e russi dall'altro (il primo ministro russo Mishustin era a Teheran proprio alla vigilia della risposta iraniana).

Questo ci porta alla terza e decisiva questione. Posto che Russia e Cina non possono permettersi di perdere l'Iran come alleato regionale e posto che l'intenzione di Israele e USA è precisamente quella di "irakizzare" l'Iran, cosa possono fare i due leader dei BRICS per evitare questo esito?

La diplomazia e le forme di "moral suasion" in questa fase storica sono aria calda.

Se ci fosse la prospettiva di un conflitto di lungo periodo, come è stato in Siria, sarebbe possibile un intervento russo strutturato nell'area, con la costruzione di basi, e la Cina potrebbe operare,come fa ora, da stabilizzatore finanziario per la Russia. Ma se lo scenario è quello di USA + Israele che si concentrano nella demolizione dell'Iran potrebbe non esserci alcun "lungo periodo".

L'unica via che mi pare realisticamente percorribile è che la Russia giochi con l'Iran lo stesso ruolo che gli USA giocano con Israele, di supporto militare ed economico illimitato. Ma finanziariamente la Russia non è nelle condizioni di competere con gli USA, probabilmente neanche con il sostegno laterale della Cina, e sul piano degli armamenti convenzionali la Russia ha ancora da finir di sbrigare la faccenda ucraina, che richiederà un impegno consistente ancora almeno per sei mesi, e dunque non può far convergere grandi quantità di armamenti di cui ha bisogno in prima persona.

Dunque fa capolino, a mio avviso, un'unica soluzione per stabilizzare l'area ed impedire che Israele + USA abbiano la tentazione di andare allo scontro finale con l'Iran: la consegna della Russia all'Iran di un contingente limitato di testate nucleari, magari anche solo tattiche.
Tecnicamente non è un'operazione banale. Non è come consegnare una pistola. Ci voglio anche tecnici di supporto e massima segretezza. Ma è fattibile e sarebbe un "game changer".
Una volta ottenute le testate e rese operative l'Iran dovrebbe svolgere un test interno, in modo da segnalare pubblicamente la disponibilità di una forza bastante a distruggere una città Israeliana o qualunque base americana nell'area.
Questo segnale dovrebbe essere sufficiente a ristabilire un nuovo equilibrio nell'area, dove a questo punto tutti i protagonisti apparirebbero in grado di infliggere colpi insopportabili alla controparte.


L'attesa risposta dell'Iran alla fine c'è stata.

E' stata una risposta molto moderata, ma intenzionata a far passare il messaggio che anche Israele può dover pagare dei prezzi.

La moderatezza della risposta si intende se si nota che la dirigenza iraniana ha avvisato gli USA dell'attacco in arrivo (e dunque hanno avvisato Israele), consentendo a tutti i civili di recarsi nei rifugi.

Inoltre gli obiettivi dell'attacco sono stati eminentemente economici (come la piattaforma di gas a largo di Haifa) e militari (le basi aeronautiche di Nevatim, Hatzerim, Tel Nof, Netzarim, e Glilot; la prima risulta gravemente danneggiata e ora inutilizzabile).

Fonti arabe parlano di 200 impatti, ma qui le cifre sono parte dei giochi di guerra: quelli che ho visto nei filmati sono comunque almeno 30.

Nonostante il numero degli impatti sia stato elevato al momento non si hanno notizie di morti civili (salvo i 6 morti a Tel Aviv, in una sparatoria pochi minuti prima dell'attacco, la cui natura non è ancora chiara).

Se fossimo in una mondo normale questo messaggio iraniano dovrebbe ricondurre Israele ad un passo indietro: il contenuto del messaggio è infatti: "Israele può essere colpita, ma" - come mostrano le modalità dell'attacco - "non vogliamo una guerra totale."

Purtroppo, stando alle prime risposte israeliane e soprattutto americane, temo che ciò che ci attende sia ben altro. Il consigliere per la sicurezza nazionale americana Jake Sullivan ha detto: "Ci saranno gravi conseguenze per l’Iran a seguito di questo attacco e lavoreremo con Israele per garantire che ciò accada."
In sostanza, conformemente allo standard usuale: "Noi e i nostri possono permettersi qualunque cosa e voi dovete subire, perché noi siamo noi e voi non siete un *azzo".

Le premesse per una devastante guerra regionale ci sono tutte.


Esistono i giudizi politici, esistono le analisi politiche e geopolitiche, ma poi esistono anche, alla base, sentimenti morali di base, che distinguono le persone in forme incommensurabili.

Se il Libano, Hamas, Hezbollah, Gaza, possedessero qualcosa di simile ad un esercito regolare, con un'aviazione ordinaria, sistemi di intercettazione strutturati, ecc. potremmo dire di essere di fronte ad una guerra.
Entrambe le parti in causa avrebbero ragioni per preferire la pace, perché entrambe avrebbero significativamente da perdere. Uno scontro iniziale potrebbe ricordare ad entrambi la durezza della perdita, suggerendo soluzioni di compromesso.
Questa sarebbe una dinamica normale nella conflittualità internazionale.

La situazione reale sul campo nell'ultimo anno è invece completamente diversa. La sproporzione di forze è totale. Un'immagine simbolicamente rappresentativa non è quella di due soldati che si confrontano, ma quella di un soldato che fa a pezzi un ragazzino.

Ciò che non può non colpire in queste ore è il persistente bombardamento israeliano di aree urbane inermi. Qui non c'è nessun "Iron Dome". Nessuna contraerea. Nessun rischio reale per l'aggressore. E' semplicemente pura esibizione di potenza e prepotenza, illimitata, senza pudore.

Ecco, se anche uno non sapesse niente dei pregressi, se non conoscesse nulla della storia del medio oriente e di Israele, comunque semplicemente la scena di qualcuno che bombarda impunito dall'alto mentre qualcuno sotto prega di sopravvivere una notte in più credo non possa che dare umanamente la nausea.

Qui non c'è niente da sapere, niente da capire. L'umanità si distingue tra quelli che vedono questo e provano rabbia e disgusto, e quelli che vedono questo e godono nel contemplare un'esibizione incontrastata di forza.
E' una distinzione umana fondamentale, più fondamentale di ogni distinzione politica, etnica, nazionale.


Questa è la ragione per cui questi sono tempi particolarmente pericolosi: la parte del mondo in maggiore crisi di identità è anche quella con la maggiore potenza di fuoco, e cerca, e cercherà, di ricostruirsi un'identità facendone uso.


Alla luce dell'evidente straordinaria efficienza dell'intelligence israeliana, credo sia matura una considerazione su quanto è avvenuto il 7 ottobre 2023 e su ciò che ne è conseguito.

Le stranezze intorno all'iniziale successo di Hamas sono saltate agli occhi immediatamente: nessun sentore del possibile attacco (oggi sappiamo che c'erano stati avvisi e che sono stati trascurati), nessuna rilevazione iniziale dell'attacco stesso, ed un incredibile ritardo ad allerta avvenuta nell'intervento delle forze armate, che restano immobili per ore.
Per evitare semplificazioni "complottiste" era giusto sospendere il giudizio e cercar di capire meglio. Magari negli ultimi anni il mitico Mossad aveva subito un tracollo inaspettato e Hamas aveva approfittato di questo momento di debolezza.

Solo che questa interpretazione è del tutto incompatibile con un Mossad che pianifica meticolosamente un attacco a Hezbollah, intervenendo nella catena di distribuzione di cercapersone e walkie-talkie, e attende almeno 3 anni (l'esportazione in Libano inizia nel 2022) il momento giusto per sferrare l'attacco; e ciò è seguito immediatamente da bombardamenti in profondità con bombe antibunker, calibrate in modo da raggiungere esattamente le posizioni delle sedi di Hezbollah (Nasrallah è stato ucciso lanciando un attacco simultaneo con 80 bombe bunker-busting MK-84s da 2000 libbre (una tonnellata l'una).

Dunque, no, il Mossad non era affatto collassato nell'inettitudine e nella neghittosità.
L'interpretazione che rimane è, oramai, cogente quanto possono esserlo le interpretazioni della storia corrente: Israele (almeno una parte dello Stato Maggiore dell'esercito e del Mossad, certamente incluso il capo del governo) ha predisposto il terreno affinché un attacco di Hamas riuscisse a fare danni abbastanza gravi da produrre quella legittimazione morale di cui avevano bisogno per reagire in maniera terminale.
In sostanza una parte della dirigenza israeliana ha sacrificato intenzionalmente una parte dei propri coloni nel nome di un'agenda politica ben definita: portare a compimento un antico progetto di pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania, e consolidare territorialmente la propria posizione rispetto ai paesi limitrofi, a partire dal Libano.

La ridicola scusa che per far fuori questo o quel membro di Hamas era malauguratamente inevitabile radere al suolo ogni singolo edificio civile e istituzionale di Gaza poteva essere creduto solo dall'usuale stampa a gettone, la stessa che ha rimestato per mesi la propaganda degli uffici stampa israeliani (ricordate la narrazione degli stupri di massa del 7 ottobre? ricordate la storia della decapitazione dei neonati? che siano menzogne oggi è riconosciuto, ma grazie ad una stampa di gente che tiene famiglia, sono menzogne hanno fatto benissimo il loro sporco lavoro).

Il meccanismo è il solito (direi che oramai è la forma prevalente di legittimazione politica internazionale): si creano, attraverso provocazioni mirate e trascuratezze intenzionali, le condizioni per un evento deflagrante che esige una risposta emergenziale; una volta avviata la risposta emergenziale, tutte le "linee rosse" possono essere stracciate, tutte i vincoli del "diritto internazionale" prendono fuoco.

Così, Israele, un paese spaccato, in crisi profonda, dove per anni non si riusciva nemmeno a comporre un governo, con manifestazioni continue nelle strade, viene improvvisamente messo in riga sul fronte interno e avviato alla loro versione della "Endlösung", nei confronti della questione palestinese.

La dinamica è la stessa che caratterizza gli USA (proprio la stessa, in continuità anche materiale con gli USA): una civiltà in crisi interna, ma militarmente e tecnologicamente ancora forte cerca di superare la propria crisi scaricandola all'esterno. Quanto maggiore la propria fragilità interna, tanto più si cerca di costruire un esoscheletro indurendo la propria corazza nello scontro col nemico esterno.


E' nato in forme terroristiche (Deir Yassin, King David Hotel, ecc.) e paralegali sull'onda emozionale dell'Olocausto, che gli ha consentito di avere un trattamento internazionale di favore (a partire dall'incredibile piano di partizione della Palestina che assegnava il 56,47 % del territorio a Israele, includente 500'000 ebrei - per lo più appena arrivati - e 325'000 arabi, e il 43,53 % del territorio alla Palestina, includendo 807'000 arabi e 10'000 ebrei). E ha poi continuato sistematicamente a infischiarsene di qualunque cosa passasse sotto il nome di "diritto internazionale" (dagli interventi del Mossad sul territorio di altri stati sovrani alle numerose "guerre preventive").
Ma tutto ciò ha continuato ad essere presentato sotto l'immagine del piccolo Davide circondato da svariati Golia arabi: il ridente paesello di schietti democratici, perseguitati per invidia, circondati dalle moltitudini barbare. E chi non è d'accordo con l'agiografia è un antisemita.
Oggi Israele, che simultaneamente conduce una forma di pulizia etnica in Palestina, bombarda a tempo perso la Siria, rade al suolo quartieri del Libano, uccide diplomatici in Iran, ecc. continua a cercar di giocare il proprio Jolly vittimista nelle varie sedi internazionali, ma è vittima del proprio successo.

Davanti agli occhi di tutto il mondo (salvo i lettori del pattume giornalistico mainstream) è l'immagine di un paese armato fino ai denti con i sistemi d'arma più avanzati al mondo, che si sente in perfetto assoluto diritto ad utilizzare qualunque mezzo ritenga soggettivamente conforme ai propri obiettivi, non riconoscendo a nessun'altra entità umana o etnica uno statuto di pari dignità.

La mia impressione è che Israele vincerà tutte le battaglie e perderà la guerra. Non questa o quella guerra particolare, ma la guerra fondamentale, quella per la legittimazione della propria esistenza.


L'evoluzione dell'attacco israeliano al Libano mi sembra descriva una situazione non inaspettata, ma forse più netta di quanto poteva essere preventivato.

Israele sta dimostrando due cose: 1) di essere militarmente molto più forte di ogni altro avversario nell'area, esibendo una superiorità tecnologica assoluta; 2) di non riconoscere alcun limite morale all'esercizio della violenza e del proprio potere.

Sul primo punto, sembra che Israele abbia distrutto in partenza, il primo giorno, la capacità di comunicazione interna di Hezbollah, e nella guerra odierna il coordinamento attraverso un'efficace comunicazione è importante quanto i missili. La contraerea di Hezbollah sembra inesistente e Israele ha dunque il completo dominio dei cieli. L'intelligence israeliana ha evidentemente infiltrato da tempo ad ogni livello il Libano e questo ha permesso l'individuazione di sedi militari, depositi d'armi, ecc. La leadership di Hezbollah sembra, a quanto ammettono gli stessi libanesi, integralmente sterminata in neanche tre settimane. Prima di mettere un solo soldato dell'IDF sulla linea di tiro Israele ha sventrato Hezbollah. Peraltro non è che si tratti di una strategia così inaspettata, visto che è esattamente ciò che gli USA fanno sempre: prima spianano a colpi di bombe, forti della propria superiorità aerea, e poi quando ha rimandato il nemico a modalità belliche dell'800, solo allora mette gli stivali sul campo. Credo si possa dire senza tema di smentita che la dirigenza militare di Hezbollah abbia fallito su tutta la linea. Forse era impossibile non fallire - è sempre facile parlare da bordo campo - ma il risultato è questo.

Sul secondo punto, Israele continua, in forma sempre più chiara, con le sue regole d'ingaggio prive di alcuna autolimitazione. Con un esempio, ieri per uccidere Nasrallah Israele ha abbattuto con bombe di una potenza mostruosa 10 condomini. La stima immediata dei morti civili è di almeno 300 persone. Ma questo è stato il modus operandi di Israele nel corso di tutto l'ultimo anno a Gaza. La regola che Israele dice di adottare è: chiunque si trovi in prossimità di un qualunque obiettivo che noi riteniamo essere di interesse militare va trattato come un potenziale nemico, che può essere legittimamente eliminato. In pratica questo significa che assolutamente qualunque obiettivo civile è un obiettivo legittimo.
L'atteggiamento di Israele è volutamente di una crudezza altotestamentaria. L'idea è mutuata da un'epoca arcaica in cui i segnali dovevano il più chiari e sonori possibile: in assenza di sistemi comunicativi lo sterminio e la crudeltà servivano per far risuonare il messaggio che non bisognava sfidare il vincitore.

Israele è un paese economicamente in crisi (rating creditizio declassato da A2 a Baa1 con Outlook negativo), politicamente spaccato in maniera terminale, e tuttavia, grazie al sostegno illimitato degli USA, può presentarsi come il sostanziale padrone del Medio Oriente, che può permettersi ogni atto di bullismo internazionale, senza temere serie ripercussioni.

La mia impressione è che questa fase storica - fase che sta togliendo molti veli edulcoranti sulla realtà del mondo occidentale - stia togliendo ad Israele quel residuo velo giustificativo che si portava dietro sin dalla sua nascita, all'ombra dell'Olocausto.

Per dirla in forma popolare, Israele è stato nel corso della sua storia il campione mondiale ineguagliato del "Chiagni e fotti".






Ieri, simpatico uno-due del prode Parlamento Europeo, che prima approva l'utilizzo di missili europei per colpire bersagli in Russia (377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti) e poi chiede l’emissione di un mandato di arresto internazionale contro il presidente del Venezuela, Maduro, oltre al riconoscimento come presidente del leader dell’opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia.

Oramai l'UE, l'Europa politica reale (e non quella vagheggiata, ideale, auspicata, ecc.) è semplicemente il botolo rabbioso che gli USA scagliano contro i loro nemici - mentre loro si tengono un passo indietro (gli Stati Uniti NON hanno approvato l'utilizzo di missili americani su territorio russo).

Talvolta, da ex-europeista uscito da un percorso di disintossicazione, continuo a chiedermi come sia stato possibile tutto questo.
L'UE è oramai ridotta ad essere un sistema di sabotaggio di quella forma di vita che fu l'Europa.
Dalle raccomandazioni pedagogiche dell'agenda 2030, alla distruzione del tessuto industriale nel nome di un'agenda sedicente "green", allo smantellamento sistematico dello stato sociale, alla rottura dei rapporti con tutti i propri vicini (ad est e sud, Russia e medio-oriente in primis) per accrescere la dipendenza dagli USA, l'UE è solo un grande meccanismo di autosabotaggio e di americanizzazione deteriore della cultura europea residua.

E all'origine di tutto ciò c'è, a monte, quel processo di americanizzazione dei ceti dirigenti che si è avviata negli anni '90 del secolo scorso, e che ora dà i suoi pieni frutti. Le popolazioni europee, - al netto della devastazione delle menti prodotta dagli schermi portatili - rimane ancora in parte inassimilata rispetto alla pervasiva americanizzazione della cultura e dei valori.
Il trionfo della mente liberale, ora neo-liberale, di cui la cultura statunitense è incarnazione eminente ha dapprima egemonizzato i blocchi sociali più "aggiornati" e "moderni" (una volta li avremmo chiamati "borghesi"), per poi divenire consenso politico.

Nella politica ridotta a varianti del (neo)liberalismo i vari "centro-destra" e i vari "centro-sinistra" sono perfettamente intercambiabili. Per ogni abiezione in un'area legislativa del centro-destra si può trovare una simile abiezione (nel nome dell'alternanza) del centro-sinistra. A votare a favore dell'utilizzo dei missili europei in territorio russo, per dire, sono stati per l'Italia: FdI, FI e PD; tutta gente che, potendo, si venderebbe l'Abruzzo per un attico a Manhattan.

Così, oggi siamo tutti all'interno di un meccanismo infernale, autolesionista, privo di sbocchi perché incapace di immaginare una forma di vita alternativa, che non sia una variante delle rappresentazioni hollywoodiane.

Siamo tutti dentro la bolla del thatcheriano "there is no alternative" e tutto ciò che culturalmente non vi si confà è derubricato a deplorevole eccentricità, roba che nessuna persona per bene intratterrebbe ("oscurantismo - va da sé, religioso", "familismo - va da sé, amorale", "populismo", "sovranismo", "rossobrunismo", ecc.).


L'attacco israeliano attraverso i cercapersone in Libano sta suscitando, comprensibilmente, grande dibattito.
A quanto pare una carica di 20 grammi di un potente esplosivo è stato inserito a monte in uno stock di cercapersone Motorola (azienda USA) provenienti da Taiwan 5 mesi fa. Questo stock era destinato al mercato libanese, con acquirenti nel gruppo di Hezbollah. Al momento si parla di 11 morti e 4000 feriti, di cui 200 in condizioni critiche.
Un attacco del genere naturalmente non può essere selettivo per definizione. Anche laddove ci fosse stata la certezza dell'identità dell'acquirente mesi fa, al momento dell'attacco l'oggetto poteva essere in prossimità di chiunque. E infatti le immagini che vediamo dall'ospedale di Beirut mostrano una variegata umanità coinvolta nei ferimenti.

Un attacco del genere ha tutte le caratteristiche definitorie dell'attacco terroristico. Si tratta di un attacco in zona civile su soggetti civili, indiscriminato, il cui primario intento non ha carattere né militare né difensivo, ma psicologico: si tratta di impressionare il nemico con la propria capacità di colpirlo in forma dura, remota e inaspettata.

Il colpo è indubbiamente riuscito.

Quale sarà l'impatto psicologico lo vedremo probabilmente a breve, visto che tutto lascia presagire l'avvio di un'azione militare israeliana in Libano in tempi brevi.

Non va trascurato qui un messaggio secondario che emerge dalla vicenda. Si tratta dell'ennesima pietra tombale sull'oramai stecchita idea della globalizzazione come realizzazione di un lieto villaggio globale, un paradiso di liberi scambi internazionali. Qui non c'è naturalmente niente di casuale nel fatto che il fornitore dei cercapersone esplosivi, Taiwan, appartenga ad una catena produttiva legata all'Occidente (pur essendo il territorio formalmente parte della Repubblica Popolare Cinese). Se finora si era in qualche misura mantenuta l'idea che i manufatti sono semplicemente manufatti, e chi li ha prodotti non conta, da oggi in poi è chiaro a chiunque che in ogni manufatto si cela potenzialmente il tassello di una strategia politica, militare, spionistica che va al di là dei meccanismi di mercato; e che da chi compri l'auto, il televisore, il telefonino, il computer (ma anche beni meno tecnologicamente elaborati) diviene cruciale non solo dal punto di vista economico. Questo fatto credo spingerà in ancora maggior misura i paesi estranei al blocco produttivo occidentale a sviluppare catene produttive indipendenti, portando ad una separazione progressiva tra il "miliardo d'oro" e il resto del mondo.

Ma, tornando al Libano, è utile ricordare che Hezbollah, il bersaglio esplicito dell'attacco, nasce come milizia paramilitare nel 1982, come reazione difensiva dei gruppi sciiti all'invasione israeliana del Libano nell'operazione "Pace in Galilea" (quella durante la quale avvenne il massacro di Sabra e Shatila, per intenderci).
Nel tempo, tuttavia, Hezbollah è divenuto un partito politico, che si presenta regolarmente alle elezioni e che rappresenta il partito di maggioranza relativa nell'assemblea legislativa libanese (nelle elezioni del 2022, 61 seggi su 128).

Che Israele agisca con modalità di natura terroristica oggi non solleva più neppure uno sbuffo, tanta è l'assuefazione. Dopo quello che è accaduto nell'ultimo anno in Palestina il terrorismo tecnologico è la modalità più civile ed elegante tra quelle messe in campo dall'IDF: cosa vuoi che sia un attacco indiscriminato che unabomber nasconditi rispetto a una bella bomba intelligente da 500 kg su un campo rifugiati?
Siamo oramai da tempo al di là di ogni limite morale e civile.

A noi, sguardi periferici ed impotenti, non resta che cercare di conservare la memoria del male, senza scuse, senza infingimenti, registrarlo e ricordarcene in futuro, per quando arriveranno nuovi discorsi sulla necessità inderogabile di "guerre umanitarie", sull'esigenza di "esportare la democrazia", sull'imperativo categorico del bianco cavaliere occidentale di difendere in ogni dove i "diritti umani".


Per gli interessati, domani a Pavia.


Ora la situazione militare in Ucraina è critica per le forze occidentali. L'avventura di Kursk, con l'invasione del territorio russo, è stata l'ennesima linea rossa violata, con il solo significato di produrre un danno d'immagine al regime, essendo sul piano militare strategicamente insensata.
Nella zona centrale del fronte l'esercito russo è oramai arrivato alla terza e ultima linea difensiva, superata la quale non esistono più linee fortificate. Il tracollo ucraino sembra questione di pochi mesi, probabilmente destinato ad avvenire nella prossima primavera.

Di fronte a questo scenario l'intera classe dirigente occidentale, cioè il complesso militare-industriale americano e i suoi garzoni di bottega europei, non conoscono piani B. Questo sembra paradossale, perché la politica internazionale, da che mondo è mondo, è fatta di piani B e C e D, è fatta di alternative tattiche e strategiche. Ma questa situazione è diversa, perché qui chi comanda e chi rischia sono soggetti diversi.
Chi comanda, gli USA, possono permettersi di violare qualsiasi linea rossa in sostanziale impunità: sanno che Putin non è affatto un pazzo che vuole la distruzione planetaria e dunque non lancerà un attacco diretto su suolo americano.
Chi obbedisce, l'Europa, ha già devastato il proprio sistema produttivo ed è in prima linea per subire attacchi mirati, anche nucleari (ricordiamo che, nella dottrina bellica attuale, l'utilizzo di atomiche tattiche conta come guerra ordinaria, e non come avvio di una guerra nucleare.)
In sostanza, gli USA spingono alla violazione di tutte le linee rosse, perché dispongono di due potenti "buffer zone" sacrificabili: prima l'Ucraina, già spacciata, e poi l'Europa.
Nel momento in cui Putin decidesse di rispondere finalmente all'altezza delle minacce alla violazione dell'ennesima linea rossa, mettendo in campo la propria superiorità nucleare, lo si potrebbe presentare una volta di più come una minaccia esistenziale con cui non si può venire a compromessi.
E nel momento in cui venisse coinvolto il territorio Nato potrebbe scattare l'articolo 5 dell'Alleanza, in una guerra diretta il cui fronte saremmo noi. Come ricordavo un tempo ai beoti che gioivano per il fatto di essere sotto l'ombrello difensivo della Nato, la realtà è che noi non siamo SOTTO l'ombrello della Nato, noi SIAMO quell'ombrello, il primo a prendersi la pioggia.

Dunque eccoci alla vigilia dell'ennesima violazione di linea rossa. La nostra sola speranza è che, una volta ancora, le Wunderwaffen della Nato non siano in grado di produrre danni troppo rilevanti, consentendo a Putin di mantenere un basso profilo, tenendo a bada le spinte interne dei "falchi".
Se, invece, malauguratamente, gli ATACAMS dovessero produrre danni tali da smuovere significativamente l'opinione pubblica russa, non possiamo avere illusioni su quale sarà il passo successivo.

20 ta oxirgi post ko‘rsatilgan.