Qualcuno ci ha chiesto di scrivere della recente dipartita di Giampaolo Pansa. In passato specificato come i suoi libri, dal Sangue dei Vinti in poi, siano state opere prive di qualsiasi valore storiografico e divulgativo. Testi romanzati in cui fantasia e realtà si mescolavano in parti disomogenee ed emergeva limpidamente la volontà di costruire un immaginario che dequalificasse la Resistenza, i suoi uomini e le sue donne.
Libri come quelli di Pansa non sono figli del caso ma di una precisa fase politica e culturale. Come abbiamo sempre sottolineato le produzioni letterarie e perfino saggistiche non sono mai neutre. Il presunto superpartismo dello Storico è un assioma che non regge proprio alla ricerca storica. Il rigore metodologico, la capacità di ricerca, la limpidezza delle fonti e l’onestà intellettuale sono strumenti per valutare il valore di uno storico. E non di certo la presupposta capacità di non schierarsi.
Perché da questo presunto superpartisimo nasce l’obbrobrio a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. Un obbrobrio istituzionale, perché proprio dalle istituzioni è partito il fenomeno di cui Pansa è diventato l’alfiere letterario. Lo sdoganamento politico del fascismo che ha toccato il suo apice negli anni ‘90, con il discorso di Luciano Violante appena insediatosi da presidente della Camera, purtroppo affonda le sue radici nella storia Repubblicana fin dai tempi dell’Amnistia.
Non ci sarebbe mai stato un Sangue dei Vinti se fin dal ‘45 criminali di guerra fascisti ( e quanti ne abbiamo citati in questa pagina) non fossero stati rimessi in libertà senza colpo ferire, senza che la Repubblica desse la possibilità al neofascismo di riorganizzarsi, senza Tambroni, senza la propaganda degli “opposti estremismi”, senza le coperture e il sostegno dello Stato ad un vasto e variegato mondo Nero.
Insomma, Pansa è stato soltanto la conseguenza di un fenomeno molto più ampio. Il tentativo politico di mantenere viva l’eredità del fascismo, ma non da parte dei fascisti stessi, bensì da parte di chi ha visto nel ‘22 e vedrebbe ancora oggi nella deriva autoritaria dello Stato una possibile e auspicata risposta alle lotte delle classi subalterne per il cambiamento sociale.
In questo quadro va visto il lavoro di Pansa, e il lavoro di tutti coloro che hanno cercato di mettere sullo stesso piano chi combatteva nella fila di un regime criminale e chi quel regime voleva abbatterlo, usando la retorica della “memoria condivisa”.
Per noi non esiste la memoria condivisa. E della storia ci interessa la nostra storia, quella degli oppressi, degli sfruttati, degli ultimi. Perché siamo convinti che possa essere uno strumento di di emancipazione collettiva, di lotta verso le strutture di potere di una società inadeguata a garantirci una vita dignitosa e felice. Per questo pensiamo che chi cerchi di sciogliere la memoria degli oppressi in quella degli oppressori, voglia semplicemente cancellarla la nostra storia.
Libri come quelli di Pansa non sono figli del caso ma di una precisa fase politica e culturale. Come abbiamo sempre sottolineato le produzioni letterarie e perfino saggistiche non sono mai neutre. Il presunto superpartismo dello Storico è un assioma che non regge proprio alla ricerca storica. Il rigore metodologico, la capacità di ricerca, la limpidezza delle fonti e l’onestà intellettuale sono strumenti per valutare il valore di uno storico. E non di certo la presupposta capacità di non schierarsi.
Perché da questo presunto superpartisimo nasce l’obbrobrio a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. Un obbrobrio istituzionale, perché proprio dalle istituzioni è partito il fenomeno di cui Pansa è diventato l’alfiere letterario. Lo sdoganamento politico del fascismo che ha toccato il suo apice negli anni ‘90, con il discorso di Luciano Violante appena insediatosi da presidente della Camera, purtroppo affonda le sue radici nella storia Repubblicana fin dai tempi dell’Amnistia.
Non ci sarebbe mai stato un Sangue dei Vinti se fin dal ‘45 criminali di guerra fascisti ( e quanti ne abbiamo citati in questa pagina) non fossero stati rimessi in libertà senza colpo ferire, senza che la Repubblica desse la possibilità al neofascismo di riorganizzarsi, senza Tambroni, senza la propaganda degli “opposti estremismi”, senza le coperture e il sostegno dello Stato ad un vasto e variegato mondo Nero.
Insomma, Pansa è stato soltanto la conseguenza di un fenomeno molto più ampio. Il tentativo politico di mantenere viva l’eredità del fascismo, ma non da parte dei fascisti stessi, bensì da parte di chi ha visto nel ‘22 e vedrebbe ancora oggi nella deriva autoritaria dello Stato una possibile e auspicata risposta alle lotte delle classi subalterne per il cambiamento sociale.
In questo quadro va visto il lavoro di Pansa, e il lavoro di tutti coloro che hanno cercato di mettere sullo stesso piano chi combatteva nella fila di un regime criminale e chi quel regime voleva abbatterlo, usando la retorica della “memoria condivisa”.
Per noi non esiste la memoria condivisa. E della storia ci interessa la nostra storia, quella degli oppressi, degli sfruttati, degli ultimi. Perché siamo convinti che possa essere uno strumento di di emancipazione collettiva, di lotta verso le strutture di potere di una società inadeguata a garantirci una vita dignitosa e felice. Per questo pensiamo che chi cerchi di sciogliere la memoria degli oppressi in quella degli oppressori, voglia semplicemente cancellarla la nostra storia.