MANICOMIO OCCUPATO! QUANDO A PARMA PAZIENTI E STUDENTI SI RIBELLARONO ALL'ISTITUZIONE MANICOMIALE
Le pratiche di internamento dei pazienti e i metodi di “cura” e di gestione delle persone ospitate o prigioniere della struttura non facevano di quello di Colorno un manicomio straordinario; anche a pochi chilometri da Parma l’istituzione manicomiale italiana portava avanti un lavoro repressivo, lontano anni luce dalle esigenze dei pazienti, come da quelle, soprattutto lavorative, del personale medico e infermieristico. Quello che fa del manicomio di Colorno un’esperienza straordinaria sono appena 35 giorni, nei suoi 120 anni di storia.
Era la fine degli anni ‘60, e nel dibattito sulla psichiatria si iniziavano a sentire voci come quella di Franco Basaglia; nelle piazze invece risuonavano quelle degli studenti e degli operai. E nella infinita lista delle categorie subalterne possiamo senza nessun dubbio annoverare i pazienti, o detenuti, psichiatrici di quegli anni. Le notizie sui maltrattamenti e sulla cattiva gestione del manicomio di Colorno ebbero una eco importante grazie alle proteste di alcuni studenti, che avevano incontrato Mario Tommasini, assessore provinciale alla sanità che aveva visitato la struttura già nel 1965, tentando di avviare un lavoro di piccoli miglioramenti gestionali, incontrando le resistenze della direzione del manicomio. Dopo manifestazioni, anche da parte di alcuni infermieri, nel febbraio del 1969 studenti e pazienti occuparono la struttura, intraprendendo una esperienza di autogestione, in cui ai pazienti erano aperte le porte dell’organizzazione quotidiana, oltre che quelle fisiche del manicomio stesso, ottenendo il permesso di uscire dalla struttura.
Gli infermieri più legati alla vecchia e tradizionale gestione del manicomio, che si opponevano soprattutto alla richiesta dei pazienti di essere inclusi ufficialmente nella gestione della struttura, come alcuni gruppi neo-fascisti, tentarono delle contro occupazioni, che determinarono la fine dell’esperimento di Colorno. Alla fine dei 35 giorni, l’esperienza di rinnovamento proposta dal manicomio di Colorno non era comunque finita: Tommasini si mise in contatto con lo stesso Basaglia, che per un breve periodo diresse la struttura, prima di altre nuove gestioni che continuarono sulla falsariga dei 35 giorni.
E chissà che proprio quei 35 giorni nel 1969 non siano stati determinanti, sulla strada che portò, nove anni dopo, alla promulgazione della legge 180.
#antipsichiatria
Le pratiche di internamento dei pazienti e i metodi di “cura” e di gestione delle persone ospitate o prigioniere della struttura non facevano di quello di Colorno un manicomio straordinario; anche a pochi chilometri da Parma l’istituzione manicomiale italiana portava avanti un lavoro repressivo, lontano anni luce dalle esigenze dei pazienti, come da quelle, soprattutto lavorative, del personale medico e infermieristico. Quello che fa del manicomio di Colorno un’esperienza straordinaria sono appena 35 giorni, nei suoi 120 anni di storia.
Era la fine degli anni ‘60, e nel dibattito sulla psichiatria si iniziavano a sentire voci come quella di Franco Basaglia; nelle piazze invece risuonavano quelle degli studenti e degli operai. E nella infinita lista delle categorie subalterne possiamo senza nessun dubbio annoverare i pazienti, o detenuti, psichiatrici di quegli anni. Le notizie sui maltrattamenti e sulla cattiva gestione del manicomio di Colorno ebbero una eco importante grazie alle proteste di alcuni studenti, che avevano incontrato Mario Tommasini, assessore provinciale alla sanità che aveva visitato la struttura già nel 1965, tentando di avviare un lavoro di piccoli miglioramenti gestionali, incontrando le resistenze della direzione del manicomio. Dopo manifestazioni, anche da parte di alcuni infermieri, nel febbraio del 1969 studenti e pazienti occuparono la struttura, intraprendendo una esperienza di autogestione, in cui ai pazienti erano aperte le porte dell’organizzazione quotidiana, oltre che quelle fisiche del manicomio stesso, ottenendo il permesso di uscire dalla struttura.
Gli infermieri più legati alla vecchia e tradizionale gestione del manicomio, che si opponevano soprattutto alla richiesta dei pazienti di essere inclusi ufficialmente nella gestione della struttura, come alcuni gruppi neo-fascisti, tentarono delle contro occupazioni, che determinarono la fine dell’esperimento di Colorno. Alla fine dei 35 giorni, l’esperienza di rinnovamento proposta dal manicomio di Colorno non era comunque finita: Tommasini si mise in contatto con lo stesso Basaglia, che per un breve periodo diresse la struttura, prima di altre nuove gestioni che continuarono sulla falsariga dei 35 giorni.
E chissà che proprio quei 35 giorni nel 1969 non siano stati determinanti, sulla strada che portò, nove anni dopo, alla promulgazione della legge 180.
#antipsichiatria