I BAMBINI DI CEAUŞESCU: LE CONSEGUENZE DISASTROSE DELLA POLITICA DEMOGRAFICA DEL CONDUCĂTOR
L’Unione Sovietica fu, nel 1920, il primo paese al mondo a rendere legale l’aborto.
Dopo la Seconda guerra mondiale praticamente tutti i paesi del patto di Varsavia vararono legislazioni assai avanzate in tema di emancipazione femminile e diritto all’interruzione di gravidanza, con uno, due o addirittura tre decenni di vantaggio rispetto ai paesi dell’Europa Occidentale.
La Romania inizialmente non fece distinzione. Nel 1965, però, quando al potere salì Nicolae Ceaușescu, vi fu un drastico cambio di rotta gravido di nefaste conseguenze.
Secondo il segretario del Partito Comunista Romeno, il tasso di natalità del suo paese era eccessivamente basso ed occorreva ad ogni costo aumentarlo nel giro di pochi anni. In realtà, sebbene effettivamente la Romania avesse un incremento della popolazione inferiore a molti paesi europei, era solo la conseguenza dell’emancipazione che la legislazione socialista aveva portato nel paese.
Meno matrimoni, più divorzi, aumento degli aborti. Tutto ciò aveva ridotto le nascite.
Ceaușescu, convinto che la Romania avrebbe dovuto passare in un decennio da 20 a 25 milioni di abitanti, rese quasi impossibile praticare legalmente l’aborto. I rari casi in cui era ammesso (stupri, malattie del feto, grave pericolo per le madri) furono monitorati con controlli strettissimi, tanto che diversi appartenenti alla Securitate vennero infiltrati nelle strutture ospedaliere. Le donne furono sottoposte a visite obbligatorie per la fertilità mentre l’importazione di contraccettivi era bloccata.
Nonostante l’irrigidimento costante della legislazione, durante i 25 anni di governo targato Ceaușescu i tassi di natalità rimasero bassi mentre le conseguenze sul piano sociale furono devastanti.
La piaga degli aborti clandestini riaffiorò in tutta la sua drammaticità. Tra il 1966 e il 1989 migliaia di donne morirono per complicazioni legate a questa pratica. Quelle che sopravvivevano o che sceglievano di continuare le gravidanze indesiderate pagavano con disturbi nervosi, problemi sessuali e depressione il prezzo della politica scellerata del regime.
Nel frattempo il peggioramento delle condizioni economiche del paese portava le famiglie meno agiate, che non potevano accedere ai contraccettivi di contrabbando e non volevano o potevano praticare l’aborto, ad abbandonare i propri figli. Nel 1990, tra i 100000 e i 150000 piccoli vivevano nelle “case dei bambini”, istituti con personale sempre meno numeroso e qualificato, in cui non erano rari i casi di abusi fisici e psicologici. Con il crollo del regime diversi minori vennero dati in adozione, con pratiche non sempre trasparenti, mentre tanti altri finirono a vivere per strada, soprattutto nel sottosuolo di Bucarest. Questi bambini abbandonati diventarono i tristi protagonisti di squallidi traffici di minori.
Una catastrofe tuttora non risolta.
#romania #ceausescu
L’Unione Sovietica fu, nel 1920, il primo paese al mondo a rendere legale l’aborto.
Dopo la Seconda guerra mondiale praticamente tutti i paesi del patto di Varsavia vararono legislazioni assai avanzate in tema di emancipazione femminile e diritto all’interruzione di gravidanza, con uno, due o addirittura tre decenni di vantaggio rispetto ai paesi dell’Europa Occidentale.
La Romania inizialmente non fece distinzione. Nel 1965, però, quando al potere salì Nicolae Ceaușescu, vi fu un drastico cambio di rotta gravido di nefaste conseguenze.
Secondo il segretario del Partito Comunista Romeno, il tasso di natalità del suo paese era eccessivamente basso ed occorreva ad ogni costo aumentarlo nel giro di pochi anni. In realtà, sebbene effettivamente la Romania avesse un incremento della popolazione inferiore a molti paesi europei, era solo la conseguenza dell’emancipazione che la legislazione socialista aveva portato nel paese.
Meno matrimoni, più divorzi, aumento degli aborti. Tutto ciò aveva ridotto le nascite.
Ceaușescu, convinto che la Romania avrebbe dovuto passare in un decennio da 20 a 25 milioni di abitanti, rese quasi impossibile praticare legalmente l’aborto. I rari casi in cui era ammesso (stupri, malattie del feto, grave pericolo per le madri) furono monitorati con controlli strettissimi, tanto che diversi appartenenti alla Securitate vennero infiltrati nelle strutture ospedaliere. Le donne furono sottoposte a visite obbligatorie per la fertilità mentre l’importazione di contraccettivi era bloccata.
Nonostante l’irrigidimento costante della legislazione, durante i 25 anni di governo targato Ceaușescu i tassi di natalità rimasero bassi mentre le conseguenze sul piano sociale furono devastanti.
La piaga degli aborti clandestini riaffiorò in tutta la sua drammaticità. Tra il 1966 e il 1989 migliaia di donne morirono per complicazioni legate a questa pratica. Quelle che sopravvivevano o che sceglievano di continuare le gravidanze indesiderate pagavano con disturbi nervosi, problemi sessuali e depressione il prezzo della politica scellerata del regime.
Nel frattempo il peggioramento delle condizioni economiche del paese portava le famiglie meno agiate, che non potevano accedere ai contraccettivi di contrabbando e non volevano o potevano praticare l’aborto, ad abbandonare i propri figli. Nel 1990, tra i 100000 e i 150000 piccoli vivevano nelle “case dei bambini”, istituti con personale sempre meno numeroso e qualificato, in cui non erano rari i casi di abusi fisici e psicologici. Con il crollo del regime diversi minori vennero dati in adozione, con pratiche non sempre trasparenti, mentre tanti altri finirono a vivere per strada, soprattutto nel sottosuolo di Bucarest. Questi bambini abbandonati diventarono i tristi protagonisti di squallidi traffici di minori.
Una catastrofe tuttora non risolta.
#romania #ceausescu