Viaggio alle origini della rivalità fra Israele e IranIl mio nuovo articolo su #IntelligenceForThePeople
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https://robertoiannuzzi.substack.com/p/viaggio-alle-origini-della-rivalita La rivalità fra Israele e Iran, per anni manifestatasi come uno confronto indiretto e combattuto “per procura” su numerosi teatri mediorientali, sta sfociando in un pericoloso scontro diretto fra i due paesi.
Questa situazione così pericolosa è storicamente conseguenza della fusione a livello regionale di due questioni relativamente distinte, seppur legate dalla comune lotta anticoloniale: il conflitto israelo-palestinese e la questione iraniana.
La questione iraniana, come quella israelo-palestinese, trae origine da eventi risalenti alla fine del XIX secolo. In quel periodo la Persia rimase coinvolta nello scontro asiatico tra la Russia zarista e l’impero coloniale inglese.
Gli sforzi iraniani per tornare alla piena indipendenza portarono all’elezione del primo ministro nazionalista Mohammad Mosaddegh nel 1951. Quest’ultimo procedette alla nazionalizzazione dell’Anglo-Iranian Oil Company.
La CIA ed il britannico Secret Intelligence Service organizzarono perciò un golpe ai danni di Mosaddegh (la cosiddetta “Operazione Ajax”) riconsegnando il potere allo Shah nell’agosto del 1953.
Il rovesciamento di Mosaddegh, considerato in Iran un eroe nazionale, segnò il culmine della storia di inimicizia fra Iran e Gran Bretagna, e l’inizio di un’altra pericolosa contrapposizione, quella fra iraniani e americani.
Nel 1979, sotto la guida del carismatico Ayatollah Ruhollah Khomeini, una rivolta inizialmente composita assunse la connotazione di una rivoluzione islamica. Gli Stati Uniti, colti alla sprovvista, offrirono asilo allo Shah.
Il personale diplomatico dell’ambasciata USA fu preso in ostaggio da gruppi di studenti iraniani e accusato di essere legato alla CIA e di complottare un golpe ai danni della rivoluzione, così come Washington aveva già fatto nel 1953 contro il primo ministro Mosaddegh.
Con la nascita della Repubblica Islamica iraniana, crollava anche la dottrina dei “due pilastri” di Nixon che aveva fondato l’egemonia statunitense nella regione del Golfo sull’Iran dei Pahlavi e sull’Arabia Saudita.
Temendo il “contagio” della rivoluzione islamica iraniana, le monarchie del Golfo sostennero l’invasione del’Iran da parte di Saddam Hussein nel 1980. Essa fu appoggiata anche dagli USA che speravano di rovesciare sul nascere la neonata Repubblica Islamica.
L’appoggio americano non cessò neanche quando Washington venne a conoscenza del fatto che Saddam faceva abbondante uso di armi chimiche. Al contrario, gli Stati Uniti lo aiutarono a produrle ed utilizzarle.
Dopo la guerra del Golfo del ’91 l’amministrazione Clinton impose un embargo durissimo nei confronti di Saddam, ed inasprì quello nei confronti dell’Iran, in base alla nuova politica del “doppio contenimento” nei confronti dei due paesi.
In base a questa stessa politica, Bill Clinton escluse entrambi i paesi dalla conferenza di Madrid del 1991 che avrebbe posto le basi del processo di pace israelo-palestinese, avviato due anni dopo dagli accordi di Oslo.
Teheran, esclusa dalla conferenza di Madrid e dal processo di riconciliazione arabo-israeliano, ed emarginata dagli USA nella regione, cominciò a stringere rapporti con le fazioni palestinesi – Hamas e la Jihad Islamica – che avevano rifiutato gli accordi di Oslo.
Fu in questo quadro che Iran e Israele cominciarono a considerarsi reciprocamente come i 2 principali rivali nella regione.
Poi, con l’ascesa dei neocon a Washington alla fine degli anni ’90, Washington adottò apertamente la dottrina del “cambio di regime” in Medio Oriente, segnando una convergenza senza precedenti fra le posizioni di Washington e le linee più intransigenti della politica estera israeliana.
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