Da Damasco a Teheran il passo è breve, ma pericolosoIl mio nuovo articolo su
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https://robertoiannuzzi.substack.com/p/da-damasco-a-teheran-il-passo-e-breve All’indomani della caduta del presidente siriano Bashar al-Assad, una campagna di bombardamenti senza precedenti si è abbattuta per più giorni sulla Siria.
Oltre 500 attacchi aerei israeliani hanno distrutto basi militari, sistemi radar, depositi di armi, aerei ed elicotteri da combattimento, sistemi di difesa aerea, e la flotta di stanza a Latakia.
Mentre la Siria veniva smilitarizzata, truppe israeliane creavano una zona cuscinetto in territorio siriano, in corrispondenza del Golan occupato, prendendo il controllo della vetta del Monte Hermon, e arrivando a poche decine di chilometri da Damasco.
Questa vetta, che avvicinandosi ai 3.000 metri di altezza è la più alta della Siria, ha un valore strategico: pone Damasco alla portata dell’artiglieria israeliana, e permette a Tel Aviv di controllare lo spazio aereo siriano oltre a quello libanese.
La caduta di Assad era forse inevitabile. Ma il crollo di quest’ultimo rappresenta una sconfitta per Mosca, così come per Pechino e il nascente mondo multipolare. E naturalmente per l’Iran, il quale vede disarticolato il proprio “asse della resistenza” che giungeva fino a Hezbollah in Libano, e a Hamas in Palestina, passando proprio per la Siria.
E’ invece una vittoria inaspettata per il vecchio sogno neocon, formulato già nel 1996, che prevedeva di ridisegnare il Medio Oriente attraverso una serie di cambi di regime, a vantaggio di USA e Israele.
Quel sogno, archiviato dopo le disastrose imprese militari di George W. Bush in Iraq e Afghanistan, e poi nuovamente dopo il fallito cambio di regime in Siria, orchestrato dall’amministrazione Obama dopo lo scoppio delle rivolte arabe del 2011, sembra ora riemergere in questi mesi in maniera del tutto inattesa.
Il crollo di Assad lascia Hezbollah isolato nel vicino Libano, indebolito dal durissimo scontro militare con Israele conclusosi il 27 novembre con un cessate il fuoco vantaggioso per Tel Aviv. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è riuscito a disaccoppiare il fronte libanese da Gaza, strappando a Hezbollah un cessate il fuoco non più condizionato alla fine delle ostilità nella Striscia.
Mentre quest’ultima rimane ad affrontare il suo tragico destino in solitudine, Hezbollah deve pensare alla difficile ricostruzione e fare i conti con un fronte interno dove la componente sunnita è rinfrancata dal crollo del regime di Damasco.
Ma per il governo Netanyahu il trofeo finale resta l’Iran, rimasto più isolato a seguito dell’indebolimento dell’asse della resistenza.
Alla vigilia del cessate il fuoco in Libano, il premier israeliano aveva dichiarato che accettava l’accordo per tre ragioni: rifornire gli arsenali israeliani ormai svuotati, aumentare la pressione su Hamas, e concentrarsi sull’Iran.
Sulla stampa israeliana si sono moltiplicati gli articoli che parlano di una “finestra di opportunità” per colpire le installazioni nucleari iraniane alla luce dello stato di debolezza in cui si troverebbe Teheran.
La tesi è che l’Iran, isolato a livello regionale, potrebbe puntare a costruire l’arma atomica se i suoi impianti nucleari non verranno distrutti. Perciò l’aeronautica israeliana si starebbe preparando per un possibile attacco.
Secondo il Wall Street Journal, l’entourage del neoeletto presidente Donald Trump starebbe studiando la possibilità, sebbene l’intelligence USA affermi che non vi sono indicazioni che l’Iran stia costruendo un ordigno nucleare.
Un’operazione di questo genere comporterebbe grossi rischi. Teheran potrebbe rispondere colpendo con i suoi missili Israele e le basi americane nella regione.
Apparentemente, da Damasco a Teheran il passo è breve, ma anche molto pericoloso.
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